Quando ero bambino la prima cosa che ho imparato del Cile era che fosse largo un terzo dell’Italia, ma tre volte più lungo. E forse questo era tutto ciò che sapeva anche quel mio antenato che nel XIX secolo emigrò proprio laggiù.

Sempre da bambino mia nonna paterna Teresa Maria -chiamata da tutti Titty- mi raccontò la storia della nostra famiglia, i Tenderini. Un’avventura che partiva dal XV secolo e aveva per protagonisti conti, vescovi, capitani di ventura e ambasciatori. Ma in una storia così ricca e antica, di qualcuno di loro s’erano perse le tracce. Germano Tenderini era uno di questi.  Si raccontava che a metà ‘800 fosse fuggito da Carrara, feudo della famiglia, forse diretto in Sud America. In realtà però, di lui non se ne seppe più nulla. Almeno in Italia.

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Da alcuni anni mi occupo della vita di questi antenati…perduti…e infatti la mia tesi di laurea è su uno di loro.

Germano mi ha da sempre incuriosito. Che fine aveva fatto?

Era nato a Carrara nel 1828. Suo padre e i suoi zii (i conti Tenderini) commerciavano in marmo, prodotto per cui la città era già nota in tutto il mondo. Al tempo, l’Italia non era ancora uno stato.   Germano però crede fermamente nell’Unità del suo paese e si avvicina agli ambienti garibaldini e repubblicani per realizzare quello che diventa il sogno di molti patrioti. La sua indole lo porta anche a prodigarsi per i più bisognosi: quando nella regione scoppia un’epidemia, non esita ad aiutare i malati. Per riconoscergli questi meriti lo si vuole insignire del titolo di barone, ma lui rifiuta. Forse perché a insignirlo sarebbe stato il futuro re d’Italia, mentre lui era un fiero repubblicano.

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Germán Tenderini

I suoi ideali politici però finiscono per cacciarlo anche nei guai. Viene perseguitato e deve scappare, con la madre e il fratello. È allora quando ripara in Cile, dove sbarca a Valparaiso. Correva l’anno 1856. Germano non era uno sprovveduto e in breve si fa strada nel commercio del marmo, ampliando l’attività che era stata della sua famiglia per secoli. Anche qui si distingue per il suo animo caritatevole, che lo porta a creare associazioni per l’aiuto agli operai e scuole per l’educazione di bambini indigenti e spesso malati. Ben presto le persone cominciano a chiamarlo Don Germàn.

Ma la sua vita sta per cambiare. Il 23 gennaio del 1858 – su iniziativa di 66 italiani – viene fondata la Compañía de Bomberos «Cristoforo Colombo», l’istituzione italiana più antica del Cile, un’espressione di ringraziamento per l’ospitalità data dal Cile a tante famiglie. Don Germàn era tra quei 66 italiani. Cinque anni dopo, a Santiago, un incendio distrugge la Chiesa della Compagnia di Gesù. Si cercano dei volontari da integrare nel nascente Corpo di pompieri della città. Don Germàn si fa avanti ed entra nella Sexta compagnia.

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Pompieri a Valparaiso verso la fine del XIX secolo

In quel periodo il mio antenato si era anche innamorato. Lei si chiamava Antonia Bustamante Sepúlveda. Non l’aveva sposata perché era ateo e il matrimonio civile ancora non esisteva. Quando però Antonia si ammalò gravemente e le speranze erano ormai poche, Germàn acconsentì a sposarla in chiesa, il 9 novembre 1867. Provvidenza o fortuna, Antonia si salvò.

Alla fine di quel decennio Germàn fa una rapida carriera tra i pompieri della capitale, che lo porta da quarto sergente a tenente della sua compagnia, in riconoscimento del suo eroismo e della sua audacia.

La grande sfida della sua vita era però dietro l’angolo.

La notte dell’8 dicembre 1870 per le strade di Santiago si sparge la voce che il Teatro Municipal sta bruciando. Il primo ad accorrere sul posto è proprio don Germàn, insieme al collega Villarroel. Si lanciano nell’edificio per cercare di domare le fiamme. Presto arrivano gli altri pompieri della compagnia. L’incendio viene spento ma, al momento dell’appello, Germàn non risponde. Uno spaventoso sospetto invade le fila e gli animi dei suoi compagni. Villarroel, sopravvissuto al fuoco, racconta gli ultimi momenti di Germàn: l’incendio si era allargato, l’amico non aveva alcuna protezione dal fumo e ben presto si sentì soffocare. Villarroel tenta di raggiungerlo ma capisce che non c’è più nulla da fare. «Viva la Italia, Tenderini!», grida all’amico. «Viva la Repubblica» gli risponde Germàn, dimostrando fino all’ultimo la fedeltà ai suoi valori.

Il corpo fu riesumato dalle macerie e il 12 dicembre ebbero luogo solenni funerali. Il corteo funebre  attraversò le principali vie della città e l’intera popolazione rese omaggio a colui che era divenuto il primo martire dei pompieri di Santiago del Cile. Venne sepolto nel Cimitero General sotto una grande lapide in marmo bianco di Carrara.

Il suo nome rimase caro nella mente e nel cuore degli abitanti. Presso il Teatro Municipal venne aperta una via che ancora oggi porta il suo nome. Alcune targhe lo ricordano sul muro esterno dell’edificio. Il 17 settembre 1957, primo centenario dell’apertura del teatro, la municipalità di Santiago pose sul luogo anche un busto in bronzo. La Sexta Compagnia lo ricorda con devozione e affetto e negli ultimi anni sono state istituite onorificenze e nuove compagnie di pompieri col nome di Germàn Tenderini.

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Busto di Germán Tenderini. Sexta Compañía de Bomberos

L’8 dicembre 2020 saranno i 150 anni dalla sua morte e personalmente spero di poter venire a Santiago ed essere presente alle celebrazioni che certamente il Cile e l’Italia (oggi repubblica) vorranno tributargli.

Purtroppo mia nonna Titty non ci sarà. Ci ha lasciato prima che potesse conoscere la storia di Germàn. Ma ora i loro ritratti sono vicini e insieme a tutti i Tenderini vissuti e rimasti in Italia.

In qualche modo, dopo quasi un secolo e mezzo, abbiamo potuto riabbracciare un parente lontano e sentirci ancora più vicini a un popolo fraternamente amico.

Edoardo Carboni (Tenderini)

Edoardo Carboni vive a Roma, ma è nato 24 anni fa a Tokyo. Ha sempre cercato di unire le sue passioni per la Storia e per il narrare storie. Liceo classico, facoltà di scienze storiche, ma anche scuole di sceneggiatura e un film prodotto a Cinecittà. La prima storia che lo ha emozionato è stata quella della sua famiglia, che spera riuscirà un giorno a raccontare.